Geraci Stefano

Destini e retrobotteghe

Teatro Italiano nel primo Ottocento
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stato: Disponibile
Argomento: Teatro e critica teatrale/Teatro italiano
Collana: Biblioteca teatrale/Memorie di teatro/27
anno: 2010
, pagine: 242

ISBN: 978-88-7870-519-7
25,00 €
23,75 €
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I retrobottega dei teatri non sono luoghi, ma tempi: percorsi, disguidi e occasioni attraverso cui il sapere e i valori dell'artigianato scenico si depositano e si rinnovano. Ma soprattutto, ci dice l'autore di questo libro, i retrobottega sono interstizi: spazi minimi che si aprono fra le mansioni consolidate, fra le fasi della vita previste o fissate a posteriori, fra le divisioni del lavoro che irrigidiscono le differenze fra gli autori e gli attori, fra la "pagina" e la "scena". Tutto ciò che nei paesaggi cementificati della storiografia e della critica corrente paiono le opposte sponde fra cui il teatro ordinatamente si comporrebbe – se fosse cosa morta. Per muoversi fra gli interstizi, l'autore sceglie il passo laterale del pedinatore, sembra divagare quand'invece raccoglie indizi, più che alle opere compiute si interessa alle potenzialità dei passi apparentemente perduti. Pedina Vittorio Alfieri che si fa attore e direttore di attori. Va ad osservare da vicino quale fosse il senso di un piccolo popolo di scrittori di tragedie apparentemente morte. Insegue i modi in cui attori e attrici memorabili si aprirono una strada fra scene desolate e repertori irrigiditi: da Antonio Morrocchesi a Carlotta Marchionni. La vita interstiziale del teatro emerge in questo libro riscattando alla storia una materia a lungo abbandonata all'aneddotica, all'erudiziene bibliografica e biografica, alla curiosità che di sé s'accontenta. Fra queste pagine che inseguono tracce e notizie minute, occhiate laterali e indizi trascurati, non c'è neppure un aneddoto. C'è invece un difficile modo di orizzontarsi nel teatro degli anni fra la Rivoluzione, Napoleone e il pieno Risorgimento, anni difficili da raccontare, infestati, per i posteri, da una selva talmente fitta di lapidi e monumenti da generare solo noia e incomprensione. Abbandonati agli orizzonti d'un destino artefatto e quindi cimiteriale.
I destini cui l'autore pensa sono invece dubbiosi e vivi. Visti nel loro farsi, colti nel momento delle loro potenzialità.
Si muove, l'autore, come chi si aggirava nel retrobottega d'un rigattiere o d'un mercante d'arte, riservando la sua attenzione ai tumuli impolverati, alla qualità ed alla consistenza delle cornici, al retro delle tele poggiate faccia al muro, rimandando il momento di giudicarle osservandole di fronte, come se ancora non volesse sapere se fossero destinate ad esser croste o capolavori.

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